L’obiettivo nel prossimo futuro è quello di snellire necessariamente il numero di fondazioni bancarie e valutare anche un cambio di governance. Circa trent’anni fa Giuliano Amato si fece promotore di una legge e di una iniziativa molto importante per tutto il comparto bancario.
Amato cambia decisamente idea e si rende conto che il fenomeno delle Fondazioni bancarie ha assunto un aspetto completamente diverso da quello di trent’anni fa. All’epoca vennero definite da amato in maniera ironica dei “ Frankestein” . Il tempo è passato e chiaramente anche l’idea iniziale e l’opinione dell’allora ministro, sono profondamente mutate.
Si parla di un preciso periodo storico in cui la trasformazione ebbe un iter molto lento, racconta Amato che all’epoca, era appena arrivato al Tesoro e aveva trovato una situazione fortemente cristallizzata. L’Italia dal punto di vista delle banche e di come erano strutturate, era decisamente immersa nel proprio passato.
C’erano infatti istituzioni che non avevano alcun tipo di struttura per poter stare sul mercato, una situazione complessa e caotica che necessitava di un intervento. L’obiettivo era ambizioso ma raggiungibile, si trattava di cambiare un sistema che sembrava decisamente una foresta intricata, in un settore che avrebbe rappresentato in parte il sistema creditizio europeo.
All’epoca Giuliano Amato lavorava a stretto contatto con Nino Andreatta, che era presidente della Commissione bilancio del Senato, Amato definisce Andreatta la persona con la mente più fantasiosa e creativa che avesse mai incontrato in quel momento nella sua lunga carriera politica.
L’idea che balenava nella mente di entrambi, era quella di separare l’istituto bancario dalla società per azioni. Un progetto complesso che richiedeva un’attenta riflessione su come gestire una trasformazione del genere, tenendo conto del territorio. Un passaggio che richiedeva sicuramente gradualità, per consentire una netta differenziazione tra il portafoglio della fondazione e un suo progressivo distacco dalla banca.
Le fondazioni cos’hanno consentito di fare?
Hanno decisamente aiutato la trasformazione delle nostre banche, questo puntando su un periodo temporale di ambio respiro. Questo ha consentito un cambiamento che difficilmente gli azionisti avrebbero accettato se fosse avvenuto in tempi troppo brevi.
Il progetto nasceva con un obiettivo preciso; quello di far perdere il prima possibile alla fondazione, quel ruolo che le era sempre stato riconosciuto. Non essere quindi più l’azionista di riferimento dell’istituto bancario. A distanza di oltre trent’anni l’obiettivo è stato raggiunto.
Infatti ad oggi, solo 10 fondazioni hanno ancora una quota azionaria nelle banche che supera il 50%. Proprio questa riforma secondo Amato, è stato un contributo determinante al rafforzamento delle banche. Oggi nel panorama bancario, abbiamo due istituti che hanno dimensioni molto grandi, stiamo parlando di Unicredit e Intesa San Paolo.
Per quanto la riforma messa in atto all’epoca da Amato, abbia favorito la trasformazione in un comparto che era fino a quel momento completamente cristallizzato, non ha inciso sulla mala gestione. La riforma puntava principalmente al rafforzamento del sistema bancario e a favorire le aggregazioni tra istituti, non ha inciso e cambiato nulla di quello che è il funzionamento.